Pagina:Scherzi morali del prof. Francesco Rapisardi, Catania, Pastore, 1868.djvu/16

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“Un dì nei giuochi pubblici d’Atene
     “Mostrossi un goffo tiratore d’arco,
     “Pien di baldanza tal, qual si rinviene
     “In chi sen va d’ogni sciocchezza carco;
     “E Diogene allor venne a sedere
     “Giusto alla meta, ove tendea l’arciere.
“Ma un tale a domandar si fece ordito,
     “Perchè era andato a mettersi colà,
     “Amico, per non essere ferito,
     “Rispose a lui con tuon di gravità.
     “Che ve ne pare, o care mie zitelle?
     “Eh! Diogen ce ne aveva delle belle.
“Dunque ragazze......„ Che cosa hai? Su, via,
     Prosiegui a favellar, non t’arrestare,
     Mi piace udir, tel dico io fedo mia,
     Lo scherzo del modesto poetare.
     Ma giacchè la favella t’è mancata,
     Addio, a rivederci un’altra fiata.
Dal bello inchino, il bel signor guardate,
     Dall’aplomb distinguè, dal passo bello;
     Che grazia, che movenze delicate,
     Che bel crine lucente e ricciutello!
     Oh! vergini, giù gli occhi, chè l’amore
     Potrebbe appiccicarsi al vostro cuore.
Andiam per un pochin, Musa diletta,
     Insieme tutti quanti qui noi siamo,
     Allo stanzin serbato alla teletta.
     Di veder quel signor là dentro io bramo.
     D’un vel ci coprì, resterem noi muti,
     Sicchè vedendo non sarem veduti.
Toh! Toh! certo passata è la terz’ora,
     Che davanti allo specchio ei resta attento.
     Or prova un gesto, indi un saluto ancora,
     Ora accelera il passo, or va più lento,
     Quà l’inchino misura, e là lo sguardo,
     Quinci presto è a seder, quindi più tardo.