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La Conquista di Roma 121

ghe e rosee e un anello di brillante al dito mignolo. Era vestito con una raffinatezza da parrucchiere, aveva una faccia serena e fresca, tutta piena della soddisfazione di esistere, mentre gli occhietti roteavano con inclinazioni di beatitudine. Aspettò che si finisse di applaudire, per parlare; anzi fece un cenno con la mano, perchè si cessasse. Tutti si ristrinsero intorno a lui per ascoltarlo, reduci, studenti, operai, carabinieri e guardie.

Il giovanotto, con una voce fievole, ma ben modulata, di tenorino da salotto, con pause sapienti, girando il capo con una lentezza graziosa di donnina civettuola, gesticolando con sobrietà, spiegò come e perchè, dopo la commemorazione di aprile, se ne facesse un’altra in dicembre: e subito si ingolfò in una descrizione dell’assedio di Roma, come se vi fosse stato; i reduci crollavano il capo innanzi a quell’elegante giovinotto, essi che vi erano stati. Egli aveva una loquela facile, ma lenta: a un tratto, parve riscaldarsi e se la prese coi preti, col Vaticano, di cui parlava accennando a sinistra, verso la muraglia, vagamente, con un gesto di attrice giovane, arrotando le r. I pochi veterani, distratti, assorbiti, non lo ascoltavano più, compresi dai ricordi di

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