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La Conquista di Roma 407

occupandosi a quel lavoro d’amante con un grande ardore. Girava per la casa: sempre la stanza da letto, con quel grande divano basso e molle, gli dava un crollo ai nervi. Ritornava in salotto, accanto al fuoco, al fuoco casto e familiare, al fuoco che purifica e che è l’immagine dell’anima nobile. Ivi aspettava.

Per fortuna, la contemplazione del fuoco è un grande diletto per gli spiriti pensosi e raccolti; così Francesco Sangiorgio poteva dominare, quasi cullare, la sua impazienza, poichè donn’Angelica non veniva.

Passando in quel salotto, accanto al caminetto, cinque o sei ore al giorno, solo solo, senza osare di muoversi, egli aveva imparato a seguire tutta la vita del fuoco, dalla lieve scintilla che si comunica, si propaga, si dilata, si dilata, sino alla vampa larga e crepitante: dalla incandescenza viva e forte, sino alla scintilla che si va restringendo, si appanna, muore. L’occhio suo, macchinalmente, in quei lunghi pomeriggi primaverili, soffocanti di dolcezza, seguiva la vita, l’accensione, la morte di ogni tizzo: e mentre tutta l’anima sua invocava e aspettava donn’Angelica, consumandosi come lui, con gli stessi ar-