Pagina:Serao - La conquista di Roma.djvu/412

Da Wikisource.
408 La Conquista di Roma

dori, gli stessi avvampamenti, gli stessi languori smorenti a poco a poco. Le maggiori ore di fiamma erano dalle quattro alle sei, in cui donn’Angelica avrebbe potuto venire: allora nel cuore dell’uomo e nel fondo del caminetto, era tutto un bruciare altissimo, una temperatura dove tutto si strugge, il coraggio e il metallo.

Ella poteva capitare da un minuto all’altro, era forse per le scale, si fermava sul pianerottolo, esitante, tremante: ed egli chiudeva gli occhi, nel sussulto caldo e febbrile di quell’idea: ogni giorno, dalle quattro alle sei, l’eccitamento dei nervi diventava acutissimo; e in quelle due ore l’incendio di una catasta di legna lambiva le pareti del caminetto. Poi veniva l’imbrunire: il desiderio e la speranza s’illanguidivano nel cuore dell’amante, accasciati in un sopore, s’illanguidiva il fuoco nel caminetto: cadeva la luce, cadevano le vampate, la cenere bigia del crepuscolo discendeva sulla terra, sull’uomo, sull’amore, sul fuoco. Egli usciva di là, ogni sera, alle sette e mezzo, fra il freddo della strada e della sera che lo colpiva: fra il freddo del disinganno che era in lui. Andava, smorto, tutto raggricchiato, con le mani in tasca e il capo china-