Pagina:Sermoni giovanili inediti.djvu/44

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40 sermone quinto.

Il ben dell’altro, e il paventato danno
Nuoce ad entrambi. Il libero commercio
Con penne leggerissime portando
Le adunate ricchezze, il suo tesoro
145Fra i più lontani popoli comparte;
Sì che il difetto col soverchio adempia,
Quasi ministro vigile che indaga
E provvede e soccorre e con cent’occhi
Intorno guarda, e cento braccia stende
150In cento parti e cento. Ingrato e stolto
Chi l’uffizio mirabile ne sprezzi,
O ne rallenti e ne distorni il corso;
Onde qual fiume rapido, raccolte
Di mille rivi in sè l’acque, per mille
155Rivi le sparge a ristorar le zolle,
Che di erbette e di fiori indi riveste.
Se delle industri cure il pregio vero
Dal recato servigio si misura,
Dimmi, che vai dalla infeconda spiaggia,
160Orgoglïosa di fabbrili ingegni,
Delle spiche mirar coperto il piano
Nel lido opposto, ove dell’arti amiche
Il suono tace e gentilezza è morta?
Tu la materia a nobile lavoro
165Foggiasti, e indarno dal negato pane
Ne attendi il prezzo. Infracidir le biade
Io vedo, e indarno alla mia volta attendo
Delle tue mani il genïal tributo.
Deh! incontro ci moviam col nostro incarco
170Ma l’ora del cammin tutta si toglie
Alle usate fatiche. Il tempo e il loco
Dell’aspettar, del convenire è incerto;
Qui sovrasta un periglio, e là si asconde
Un terribile agguato; e forse dopo