Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/103

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   78 libro secondo

av. Cr. 193) Cajo Livio prefetto del navile romano, quando salpato con cinquanta navi da Roma per alla volta di Messana, iva richiedendo le navi che a tenor dei trattati dovevano prestare i Socii, erano tra costoro i Reggini, i Locresi, i Veliesi ed i Pestani.

Reggio, come dicemmo, non ebbe a sofferir nulla ne’ rivolgimenti che nelle vicine contrade erano avvenuti; nè fu perturbata, a quel che sembra, da interne commozioni per tutto il secolo, e più, trascorso dal fine della guerra di Annibale sino alla guerra Sociale. Questo fece che durasse popolosa e splendida di antiche e nuove arti e di lettere, e ricca di commerci. Di che ove tace la storia fanno indubitata testimonianza le antiche lapidi che tuttavia presso di noi si conservano, e che furono ampiamente interpretate ed illustrate da chiarissimi ed accurati scrittori.

Nella prima sedizione de’ servi in Sicilia (An. di R. 619. av. Cr. 135), attizzata da Euno di Apamea, e nell’altra da Salvio ed Atenione contro la spietata pressura de’ padroni romani, anche Reggio fu tentata fortemente dalle pratiche, che que’ servi ribelli aveano appiccate nel continente italico. Perciocchè s’ingegnavano a far che il tumulto pigliasse terreno, e desse di spalla alla loro impresa. Ma Reggio, non lasciatasi smuovere dalle sollecitazioni de’ servi siculi, stette salda con Roma.

VI. Cessata la guerra affricana, quanto più nella pace Roma erasi aggrandita di potenza e prosperità, tanto si andava aggravando su’ popoli italici. A’ quali tolto interamente lo stato di nazioni, non rimaneva nella perdita dell’indipendenza che il penoso dovere di lavorar la terra, e di buscarsi a stento quanto bastava al vivere necessario, ed a pagare (il che non sempre bastava) il tributo a’ loro superbi dominatori. Ma gl’Italici ricordevoli di quel ch’erano un tempo, pativano vergogna e rabbia dello stremo in che erano condotti oggimai da una repubblica, per la cui grandezza e sicurtà avevano fatto tanto getto di lor sangue, di loro armi, di lor fortuna. Cercarono prima con legali petizioni ed istanze al Senato di conseguire almanco che, a contrappeso di tante gravezze insopportabili, fosse loro concesso qualcuno de’ diritti della romana cittadinanza. E fattisi interpreti de’ loro voti prima Cajo Gracco, e poi Marco Livio Druso, fu proposta al Senato una legge che accordasse tal cittadinanza agl’Italici (An. di R. 632, av. Cr. 122); ma tutto fu indarno. Esacerbati per questo, e trovandosi d’altra parte affratellati dalla sventura, ed esercitati nelle armi sotto la scuola de’ loro dominatori, gl’Italici cominciarono a praticare di togliersi alla comune oppressione colla perseveranza del proposito, colla concordia