Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/17

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   viii introduzione

tacinque anni dopo la morte di Giocasto, Ercole passò dalla Tirrenia nell’Italia co’ suoi armenti: e narrasi ch’entrato nel territorio reggino, in quel che cercava refrigerio alla stanchezza del viaggio, abbia avuto molestia dalla stridulità delle cicale, che gli ruppero il sonno; ond’egli pregò gli Dei che le rendessero mute per l’avvenire. Venne in Reggio, donde guadato il mare co’ suoi buoi, fece passaggio nella Sicilia. Dicesi che da questi tempi il nome dì Italia fosse cominciato a prevalere a quello di Saturnia, e farsi notissimo a’ Greci; i quali nondimeno, avendo per ultima terra occidentale questa nostra contrada, continuarono a chiamarla più volentieri Iperia o Esperia.

Ed era così da loro dinotata, sin da quando l’angustia delle cognizioni geografiche faceva ancora loro credere che altra terra più occidentale della nostra non esistesse; e che qui fossero i confini dell’Oceano, qui la stanza delle Sirene, qui i campi del Sole, qui gli orti delle Esperidi, qui il rabbioso mostro di Scilla. E ponevano sulle rive del nostro mare tutti i prodigi dell’antichissima teogonia italica, e l’origine degli Dei, e l’aurea età di Saturno, ed i regni della vita e della morte, e le sedi de’ Celesti e degl’Inferi. Ma siccome prima che fosse cognita a’ Greci l’Italia, nomavano Esperia l’Epiro, tenendolo come ultima regione occidentale del loro picciol mondo, così dopo scoperta la terra italica, a questa portarono il nome di Esperia. E per differenziare l’un paese dall’altro chiamarono l’Epiro Parva Esperia, e Magna Esperia l’Italia. Comune linguaggio ai Siculi ed agl’Itali, provenienti dallo stesso ceppo, era l’osco, allorchè vennero ad abitarvi i Calcidesi ed i Messenii. I quali poi colla loro diuturna dimora andarono di mano in mano mescolando la loro lingua alla osca; e si andò componendo una favella di mezzo, tra di osco e di greco; sebbene gli Opici non avessero mai rinunziato alla loro lingua primitiva; e questa sola parlaron sempre.

Raccontasi che Oreste, furioso dopo il parricidio (av. Cr. 1263) avesse avuto dall’oracolo, che solo allora potrebbe deporre il furor suo, quando recuperata la sorella Ifigenia, andasse a lavarsi in un lontano fiume che a sette altri fiumi facesse continuazione, e questi nello stesso mare mettessero foce. Durato gran pezza in questi travagli, trovò finalmente nella Tauride la smarrita sorella, e peregrinando alla ventura, capitò poi nell’Ausonia, dove dopo i setto fiumi continui Lapadone, Micode, Eugione, Stastero, Polme, Melcissa, ed Argeade, rinvenne a’ confini del territorio reggino il fiume designatogli dall’oracolo, che si chiamava Jaccolino (o Paccolino); e corrisponde al Metauro. E lavatovisi, gli tornò subito l’in-