Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/39

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   14 libro primo

tutti quali morti, quali fatti prigionieri. Da questo avvenimento in fuori, che oscurò tanto o quanto il governo di Micito, in tutti gli altri suoi fatti si comportò con tanta rettitudine ed integrità, che i Reggini ed i Messeni lo ebbero sempre in grande estimazione e riverenza. E così rilevò poi le sorti di Reggio, che potette dedurre da essa città parecchie colonie, fra le quali è ricordata Pissunti, che a’ Romani fu Bussento. (Olimp. 77, 2. av. Cr. 471.)

Non erano ancora usciti di pupillo i figliuoli di Anassila, quando Cerone, re di Siracusa, a sè invitatili, esortolli ad emanciparsi dalla tutela di Micito, a chiedergli ragione dell’amministrazione tenutane, ed a rivocare nelle loro mani lo stato. Costoro, tornatisi a casa, fecero in conformità de’ consigli avuti, e Micito ch’era uomo dabbene ed onestissimo non volle opporsi alle pretensioni di que’ giovani. Ma convocato il consiglio de’ cittadini, diede loro così netto conto di tutto, e con tanto bel modo, che quanti eran presenti ebbero a restare ammirati di tanta sua fede e giustizia. E gli stessi figliuoli di Anassila, come ciò videro, si ripresero e pentirono del fatto loro, e volevano a ogni modo che Micito, dimenticando l’affronto fattogli, ripigliasse il governo dello stato. Ma costui non volle più impacciarsene, e preso quanto aveva di suo, dopo nove anni d’irriprensibile governo, (Olimp. 78, 2. av. Cr. 467.) si partì dalla sua patria, proseguito dal favore di tutti i Reggini. Egli andò per la Grecia, e ritiratosi in Tegea nell’Arcadia, vi passò onorato e riverito l’avanzo della sua vita.

Dopo la costui partenza occuparono il governo i figliuoli di Anassila, e se ne divisero la signoria. L’uno, che era Leofrone, rimase tiranno di Reggio; l’altro, il cui nome è ignoto, ebbe lo stato di Messena. Ma giovani essendo, e di rotti costumi, si diedero a bruttare la loro vita d’ingiustizie, di concussioni, e di stupri. Questo fece che i Messeni ed i Reggini, sopportate tali infamie per lo spazio di sei anni, si unissero in un volere, e li cacciassero a rumor di popolo fuori delle loro città. E schiantando senza dimora le forme della tirannide, riassunsero la loro primiera libertà ed indipendenza. (Olimp. 79, 4. av. Cr. 461.) Ed è qui da por mente che nel tempo medesimo quasi ogni città di Sicilia espulse i suoi tiranni e si costituì a libero stato, adottando ad un dipresso riti ed istituzioni conformi a quelle delle città italiote.