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CAPO TERZO
(Dall’Olimp. LXXX alla XCI, 4.)
I. Caduta in Reggio la tirannide, (Olimp. 8o, 2. av. Cr. 459.) i popolani non contenuti da alcun prevalente cittadino, trascorsero in tumulti, e precipitarono nell’anarchia. Onde tutta la città andata sossopra, ogni cosa fu piena di amniazzamenti, e di vicende dolorose. Sino a che il partito più debole, accattando esterni soccorsi, non chiamò ad intervenirvi dalla Sicilia gl’Imeresi, i quali restavano alleati a’ Reggini da’ tempi di Anassila e di Terillo. E gl’Imeresi volentieri vi accorsero, e cavando vantaggio dalle tribolazioni della città partita, sbandeggiarono da essa tutti i Reggini dell’una e dell’altra fazione, lasciandovi solo i moderati ed i neutri. Ed usurpandosi gli averi degli esuli, vi condussero da Imera le loro famiglie, e di ajutatori mutandosi in oppressori, consumarono un misfatto che non avrebbe osato alcun tiranno.
Nondimeno questa pubblica calamità, se per allora fu gravissima e fuori della opinione degli uomini, giovò poscia per indiretto a migliorar la repubblica. Imperciocchè distrutto colla forza il principio dissolvente ed anarchico, che aveva sostituito la licenza e lo scompiglio alla libertà ed all’ordine, e dato maggior polso al principio del potere e dell’autorità, senza di che nessun governo è durabile; Reggio fu riordinata a temperata repubblica, congiungendo acconciamente le pubbliche guarentigie del popolo coll’aristocrazia conservatrice e feconda dell’intelligenza e della ricchezza. Sedati gli animi, i fuorusciti Reggini furono rimpatriati, i partiti si confusero nel generoso pensiero di una patria comune; e Reggio rinvigorita nella sua nuova forma all’antica indipendenza, si agguagliò alla condizione delle finitime repubbliche. Le quali volentieri la raccettaro-