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186 serata x. a terra

cellente, a vista di mare. Ma, che volete? La non era finita. Le case sembrava che mi facessero il solino1; il pavimento si sarebbe detto di guttaperca, sfondandosi e come ondeggiando ad ogni passo; la camera ballava vorticosa; e quando mi buttai sul letto, anch’esso andava su e giù, sicchè mi pareva di trovarmi ancora nella mia cabina. Ma a poco a poco cessò anche questa stregoneria, e, dopo una buona dormitina, di quelle che si fanno in un buon letto, sulla terraferma, trovai che tutto era saldo; potei mangiare, uscire a passeggio, ammirare la bella Livorno, visitare il Cisternone2, e sopratutto deliziarmi contemplando dall’Ardenza3, un mare che delle ire della notturna tempesta, ricorda solo quel tanto che basti a togliergli l’uggia della calma; un mare tutto di zaffiro, a screzî di diamanti; un mare che si agita, con palpito immenso, sotto un limpidissimo cielo, ove il sole dardeggia di nuovo in tutta la sua possanza, e inargenta le schiume, rotolanti sulle arene, quasi cordone interminabile di soffice bambagia, e converte in gemme di sale gl’infiniti spruzzi, onde sono roridi dalla tempesta i fioriti cespugli, e le verdi siepi, di quegli incantevoli viali. Il dì seguente partii per Firenze co’ miei compagni di viaggio».

  1. Il barbaglio prodotto dal riverberare de’ raggi del sole sull’acqua, sugli specchi, su ogni cosa che lustri molto e si mova. Ha nel popolo e negli scritti di molti nomi: occhibagliolo, sguizzasole, illuminello, colombina, indovinello, lucciola, ecc. Peccato che la voce solino lo confonda con quella parte della camicia che cinge il collo. A Milano gli danno un nome, secondo il solito, molto poetico; lo chiamano la gibigiana.
  2. È un gran serbatojo d’acqua potabile, nel mezzo della città.
  3. Magnifico passeggio, anzi pubblico giardino, fuori della città, lungo il mare.