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128 CAPO XXII.

ti, i campi frequentati da genj selvaggi, o Fauni o Silvani che fossero1, ma non eravi luco e fonte perenne che nell’opinione di loro non fosse sacro, e ivi stesso tenuto in custodia da qualche benefica intelligenza2. Dee, ninfe, naiadi, divinatrici, muse tutt’insieme, dicono gli espositori. Se non anche qualunque siasi Semone, come Clitunno signor dell’acque di questo nome nell’Umbria, i cui oracoli son dileggiati con gentile ironia da Plinio il giovine3. Scarso pregio dell’opera sarebbe qui mentovare distintamente questa plebe di numi, così chiamata da Ovidio4, non che il numerare altri miti più o meno allegorici e simbolici, ancorchè sempre correlativi nel concetto comune o alle ordinarie abitudini del popolo, o al suo nativo costume, od ai bisogni locali. Drittamente adunque, quivi nel Lazio, come per tutt’altrove, si ha di più nella mitologia una manifestazione visibile del genio altamente armigero delle genti italiane. Astata e ricoperta d’una pelle caprigua accoglieva le preci de’ suoi divoti Giunone Lanuvina salvatrice5. Del pari astata appariva in Sabina l’im-

  1. Vet. Auct. de limitib. p. 274. ed. Goes.
  2. Nullus lucus sine fonte, nullus fons non sacer, propter attributos illis deos, qui fontibus praesse dicuntur. Serv. vii. 84.
  3. viii, epist. 8.
  4. Ovid. in Ibin. v. 81.; Arnob. iii. p. 102.; Plebs numinum, sunt deorum innumerae gentilitates.
  5. Juno sospita.... cum pelle caprina, cum hasta, cum scutulo, cum calceolis repandis. Cicer. de nat. Deor. i. 29. Vedine l’immagine vera tav. xxix. 8.