Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/109

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Io ti vorrei, Signor, sempre servire,
Ma questo corpo m’è sempre molesto;
Che s’io voglio vegliare e’ vuol dormire
Ogni po’ di disagio lo fa mesto,
E comincia di fatto a impallidire:
La sensualità che vede questo
Mi dice: tu vorrai volar senz’ale,
E dare un buon guadagno allo spedale.

E la Sensualità così invocata le dice beffando:

Tu vorresti ire al ciel così vestita:
Io ti vo’ dire il ver senza rispetto:
A me pare che tu ti sia smarrita,
Faresti meglio a picchiarti un po’ il petto:
Non vorresti patir caldo, nè gielo,
E calzata e vestita andare in cielo.

Ma ecco la Ragione dire all’anima:

Deh dimmi, anima mia, che hai tu avuto,
Io m’era appunto appunto addormentata.

E saputo il fatto, dice della sua nemica:

Ella è una bestiaccia sì insolente,
Bisogna non lasciar punto la briglia:
Battila spesso senza discrezione,
E non gli mostrar mai compassione

Ma che dovevo fare? dice l’anima.

Dovevi tutta aprirti nelle braccia,
A pigliare una mazza tanto grossa.
Che rompessi la carne e tutte l’ossa.

La sensualità non se ne spaventa, e dopo uno scambio di villanie aggiunge:

Questa Ragione è sol l’ipocrisia,
E non sa appena dir l’ave Maria.