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ciali, e le grandi gesta, e i nomi gloriosi di cui tante e e tante posson vantarsi.

Per questi giusti motivi non noi soltanto (la cui opinione subordiniamo di buon grado a quella di chi più di noi sa di queste materie), ma molti pensatori di polso, quantunque della Italia e delle sue future grandezze amantissimi, opinarono essere cosa d’immensa difficoltà lo sradicare quel culto e quell’attaccamento speciale alla propria terra i quali renderanno se non impossibili, per lo meno difficilissime queste vagheggiate fusioni ad ottenere unità, a prezzo di rinunzia forzata alle proprie affezioni, e gettito a malincuore delle proprie simpatie.

Esposte fin qui le tendenze primitive di molti Italiani per la unità della penisola, esposti i primi tentativi per conseguirla, e gli incitamenti per parte di estere potenze diretti a rinfocolarne i desideri, narrate le opinioni di molti chiarissimi ingegni sulle sue difficoltà, istituito un paragone dei tre sistemi immaginati a tal uopo, ed aggiunta una esposizione delle passate grandezze, a giustificazione dello spirito di municipalismo che riteniamo radicato fermamente in Italia, non restaci che parlare del Piemonte e di Carlo Alberto, ossia delle sue tendenze per usufruttuare le idee di nazionalità e di unione a profitto o ad ingrandimento della sua dinastia.

Carlo Alberto, entrato come principe di Carignano nella cospirazione italiana del 1821, fece le prime prove ponendosi a capo del movimento piemontese di quell’anno. Ecco come racconta il Gallenga questo avvenimento: «Lasciato solo coi sudditi di un sovrano assente (1821), il giovine ed inesperto reggente die’ prova di quella irresolutezza e perplessità che furono in ogni tempo la menda capitale di un’indole altrimenti elevata e generosa. L’abdicazione di re Vittorio aveva già scossa la fermezza dei liberali più leali, e sparsa la diffidenza e il mal volere fra i più arrischiati ed avventati. I Carbonari specialmente, setta segreta, che e in Piemonte e a Napoli e per tutta Italia