Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/226

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veva accompagnata la mattina. Era rientrata in quell’istante. Ella si lasciò baciare ed abbracciare con la dolcezza che usava quando aveva bisogno di ottenere un perdono. Le sue guance erano in fiamme e la sua bocca puzzava di vino.

— Infatti ho bevuto molto — disse ella subito ridendo. — Il signor Deluigi, un vecchio cinquantenne, s’era proposto di farmi prendere una sbornia; ma non c’è riuscito mica, veh! — Eppure doveva esserci riuscito meglio di quanto ella credesse, e ne faceva fede la sua smodata allegria. Si contorceva dalle risa. Era bellissima, con quell’insolito rossore alle guance e gli occhi lucenti. Egli la baciò nella bocca spalancata, sulle gengive rosse, ed ella lo lasciò fare, passiva come se il caso non fosse suo. Continuava a ridere, e raccontava, a frasi smozzicate, che non soltanto il vecchio, ma tutta la famiglia aveva preso l’impegno di farle perdere la testa e che sebbene fossero in tanti, non c’erano riusciti. Egli tentò di renderla ragionevole parlandole del Volpini. — Lasciami in pace con quella roba! — gridò Angiolina e, visto ch’egli insisteva, ella senza rispondere, lo baciò e abbracciò come egli aveva fatto sino allora con lei nella bocca e sul collo, aggressiva come non era stata mai e finirono sul letto, ella col cappellino ancora in testa e col soprabito indosso. La porta era rimasta spalancata, ed era difficile che i suoni di quella battaglia non fossero arrivati sino alla cucina ove si trovavano il padre, la madre e la sorella d’Angiolina.

L’avevano ubbriacata davvero. Strana casa quella