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LIBRO QUARTO 225

morto gran tempo di fame, e testé di quest’arte arricchito e scialacquante, la seguitasse, non fu miracolo; ben fu, che compagno alla spiagione gli fosse Publio Dolabella, di chiara famiglia, parente stretto di Varo, disperdesse la sua nobiltà, il suo sangue. Il senato volle che si aspettasse l’imperadore, unico soprattieni agli urgenti mali.

LXVII. Avendo Cesare dedicato in campagna i tempj, e bandito che niuno gli rompesse la sua quiete, e posto le guardie che non lasciasson passare chi venia; odiando e terre e colonie, e ciò ch’è in terra ferma, si rinchiuse nell’isola di Capri, tre miglia oltre al Capo di Sorrento. Dovette piacergli, per essere solitaria, e senza porti: appena potervisi accostare navili piccoli, nè alcuno di nascosto approdarvi: d’aria il verno dolce, per lo monta che le ripara i venti crudi: volta per la state a ponente, con amena vista del mare aperto, e della costa bellissima, non ancora difformata da’ fuochi del Vesuvio. Dicesi che la tennero i Greci, e Capri i Teleboi. Starasi allora Tiberio intorno agli edifizj e a’ nomi di dodici ville. E quanto già alle cure pubbliche inteso, tanto ivi in tristo, ozio e libidini occulte invasato: e nella folle credenza de’ sospetti, che Seiano in Roma faceva attizzando avvampare, e qui levar fiamma con insidie già scoperte contro a Nerone e Agrippina; tenendo soldati a scrivere quasi in annali ogni lor andamento, fatto e detto, aperto e segreto: e falsi consigliatori a fuggirsene in Germania agli eserciti o alta statua d’Augusto, a piazza piena, e abbracciarla, e gridare: »Accorrete, buona gente, accorri senato: aiutateci;" e tali cose da loro abborrite, rapportavano per ordinate.


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