Pagina:Teofrasto - I Caratteri.djvu/38

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il filosofo teofrasto

descrittiva? Diogene Laerzio nell’elenco delle opere teofrastee non parla affatto di libri di Teofrasto letti a scuola e non pubblicati, mentre vi allude chiaramente a proposito del successore di Teofrasto; e però se gli scritti di Teofrasto, da lui, o, dopo di lui, pubblicati dagli scolari, sono quelli dei quali Diogene riferisce i titoli, io non saprei come Pasquali potrebbe giustificare la sua ipotesi. Resulta infatti dal catalogo diogenico che Teofrasto ha trattato particolari problemi di filosofia morale, senza mai intraprendere un corso di vera e propria etica sistematica e neppure di etica descrittiva; e però i «Caratteri» non avrebbero potuto trovar posto tutti e trenta, quanti essi sono oggidí, in nessuna di quelle opere che s’intitolano «La vita beata», «Il dolore», «Il ridicolo», «Il piacere». L’ipotesi di Pasquali è un compromesso tra le altre due formulate precedentemente da altri studiosi: che i «Caratteri» siano estratti raccolti dal medesimo Teofrasto o dai suoi ammiratori scegliendo fra le opere sue stesse dove capitasse di leggerli; o che siano uno scritto ipomnematico nella forma di materiali che Teofrasto avrebbe messo insieme per scrivere trattati di morale. Ed è, come le altre due, troppo malferma, perché possiamo accettarla e rifiutare per essa testimonianze e documenti i quali inducono a credere che Teofrasto pubblicasse da sé i «Caratteri», nella forma che noi li leggiamo e traduciamo oggi.

In verità, altra cosa è investigare l’origine, diciamo cosí, dei «Caratteri» e altra, tutta diversa, è chiedersi se Teofrasto li abbia pubblicati come opera per sé stante o no. Ed è, io penso, ridicolissimo vezzo questo di voler ridurre tutte le questioni a una questione omerica, oggi soprattutto che anche la famosissima questione omerica sembra un’oraziana contesa di lana caprina. La notizia che noi abbiamo citata a pagina 7, di un Teofrasto il quale a lezione illustrava i piú gravi argomenti con naturali artifizi, e che «una volta, imitando il ghiottone, tirata fuori la lingua si leccasse le labbra», ci mostra come lieto egli fosse di studiare i costumi degli uomini e di osservare gli aspetti ridicoli o addirittura comici, e pronto altresí in rappresentarli con arguzia e discrezione. E alle tante notizie che confermano cotesta


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