Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo I, Classici italiani, 1822, I.djvu/119

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E in fatti presso i Latini gli epitalamii col nome di canti fescennini soleano appellarsi. Il Dempstero (l. 3, c. 35) vorrebbe farci credere che, prima ancora che gli Etrushi soggettati fossero a’ Romani, avessero essi composte tragedie. A provarlo allega egli un passo di Varrone, ove nominando alcuni popoli della Toscana, dice: Sed omnia haec vocabula tusca, ut Volumnius qui tragoedias tuscas scripsit, dicebat. Ma da questo passo ben si comprova che Volumnio alcune tragedie avea scritte in lingua etrusca; ma in qual tempo le avesse scritte non si dimostra, perciocchè poteron bene gli Etruschi, anche dapoichè costretti furono a soggettarsi a Romani, comporre tragedie nella materna lor lingua.


Opere de’ loro scrittori perdute. XXVI. Egli è certo a dolersi che niun letterario monumento degli Etruschi sia a noi pervenuto, e che a saperne alcuna cosa ci convenga fiutare, per così dire, in ogni parte, e ogni passo degli antichi scrittori faticosamente cercare. Eppur sappiamo che non furon negligenti gli Etruschi nel tramandare a’ posteri la memoria loro. E al tempo di Varrone leggevansi ancor le storie degli Etruschi scritte fin dall’ottavo lor secolo, come Censorino ci assicura. In tuscis historiis, quae octavo corum saeculo scriptae sunt, ut Varro testatur (De Die nat. c. 5). Qual fosse questo ottavo secolo degli Etruschi, in cui le loro storie essi scrissero, non è sì agevole a diffinire; non potendosi in alcun modo determinare a qual tempo venissero essi in Italia. Ma qualunque esso fosse, il sapersi che storici delle loro cose furono tra