Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/183

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ci trovò al risorgere colpevoli, puniti, e più disgraziati di prima.

M'ero alzato presto, ed ero uscito lasciando l'Eva oppressa da un sonno agitato. Mi pareva che dovesse trovarsi meglio svegliandosi sola. Io pure avevo bisogno d'esser solo con me stesso; io pure ero agitatissimo. Cessato il delirio dell'amore combattuto, mi si era ridestato nell'anima quel profondo scontento di me, che mi aveva turbato il giorno innanzi. La mia felicità aveva qualche cosa d'incompleto. Mi mancava la gioia di sentirmi felice.

Era una contentezza che non mi inspirava fiducia. Mi sembrava inverosimile. Mi bastava di distrarne il pensiero un momento, perchè mi venisse il dubbio che fosse stato un sogno.

E l'idea che avrebbe potuto svanire come un sogno, mi sgomentava, mi desolava, ma non mi suscitava in cuore le ribellioni energiche di un uomo che vuol difendere e conservare ad ogni costo la sua illusione. Non facevo voti perchè quell'illusione non si dileguasse. Avevo un desiderio strano, latente, inesplicato a me stesso, che l'Eva non fosse venuta. Che quelle ore d'ebbrezza celeste si fossero potute cancellare dalla mia vita. E tuttavia sentivo che, se fosse stato così, mi sarei trovato infelicissimo; ma la mia coscienza anelava a quell'infelicità.

Vagai lungamente sulla riva di quel lago di Lugano deserto e mesto come un cimitero, piangendo in cuore di non essere morto del grande e nobile dolore che aveva minacciata la mia vita.

Ma dovevo nascondere all'Eva quei pensieri crucciosi. Mi aveva fatto un sacrificio enorme; sarei