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ultime lettere d’jacopo ortis. 123

sisteva a un moribondo; corse al parroco, ed anch’esso era fuori per lo stesso motivo. Entrò ansante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendeva per uscire di casa con suo marito, il quale appunto dicevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Jacopo non era altrimenti partito; ed ella sperò di potergli dire addio un’altra volta, e scorgendo il servo da lontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo soleva sempre venire; e con una mano si sgombrò il velo che cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente, costretta da dolorosa impazienza di accertarsi s’ei veniva: e le si accostò a un tratto Michele domandando ajuto, perchè il suo padrone s’era ferito, e che non gli parea ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il cancello: poi senza mandare lagrima nè parola, cascò tramortita fra le braccia di Odoardo.

Il signore T*** accorse sperando di salvare la vita del suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta fra’ cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S’era piantato un pugnale sotto la mammella sinistra; ma se l’era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra. Il suo abito nero e il fazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vicina. Era vestito del gilé, de’ calzoni lunghi e degli stivali; e cinto d’una fascia larghissima di seta, di cui un capo pendeva insanguinato, perchè forse, morente, tentò di svolgersela dal corpo. Il signore T*** gli sollevava lievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata di sangue gli si era rappresa su la ferita. Jacopo si risentì; e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli occhi nuotanti nella morte, stese un braccio come per impedirlo, e tentava con l’altro di stringergli la mano — ma ricascando con la testa sui guanciali, alzò gli occhi al cielo, e spirò.

La ferita era assai larga, e profonda, e sebbene non avesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lasciando perdere il sangue che andava a rivi per la stanza. Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero di sangue, se non che era alquanto polito nel mezzo; e le labbra insanguinate di Jacopo fanno congetturare ch’ei nell’agonia baciasse la immagine della sua amica. Stava su lo scrittojo la Bibbia chiusa, e sovr’essa l’oriuolo; e presso, varj fogli bianchi, in uno de’ quali era scritto: Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si potea rilevare, espiazione; e più sotto: di pianto eterno. In un altro foglio si leggeva soltanto l’indirizzo a sua madre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse incominciata un’altra che non gli bastò il cuore di continuare.

Appena io giunsi da Padova ove m’era convenuto indugiare più ch’io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de’ contadini che s’affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s’appresentò il padre di Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per terra. Non so come ebbi tanta forza d’avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la ferita: era morto, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando stupidamente quel sangue: finchè venne il parroco, e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. — Teresa visse in tutti que’ giorni fra il lutto de’ suoi in un mortale silenzio. — La notte mi strascinai dietro al cadavere, che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de’ pini.


FINE DELLE ULTIME LETTERE D’JACOPO ORTIS.