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DISCORSO SUL TESTO DEL POEMA DI DANTE.

congetture su 1’ enormità degli altrui peccati, tendono alcuna volta a dare buona opinione della santità della loro propria co- scienza, - e i men ipocriti, a ’spassionarsi di patite disgrazie. Questo secondo fu il caso di Messer Giovanni, il quale capitò male con quella trista del Corbaccio ; poi s’ adirò ogni qual- volta i poeti non si dilettano della sola filo*otÌa. Pur dalla unica circostanza in fuori, che Dante, poi che si parti di Firenze, non volle mai patire che la moglie gli andasse dietro, i meriti nar- rati di lei dal Boccaccio sono tutti d’ un’ottima madre. — « Era » alcuna particella delle sue possessioni dalla donna con titolo » delle sue doti dalla cittad.na rabbia con fatica stata difesa; » de’ frutti della quale es&a sé e li piccoli figliuoli di lui assai » sottilmente reggeva: per la qual cosa povera, con industria » disusata le conveniva il sostentamento di sé stessa procac- y Giare ’. »

XCII. Fors’ella nelle guerre cittadinesche viveva a strette durissime fra la famiglia ov’ era moglie e madre, e la famiglia ov’ era figlia e sorella. Nacque della casa medesima di quel Corso Donati, sovvertitore della moltitud ne contro le antiche famiglie, e che per avere ordito le pratiche degli aderenti a Carlo di Plancia, fu mandato a’ confini con gli altri capi di parte sotto il priorato di Dante;’* - ma per favore di Bonifa- cio YIII ripati’iò ferocissimo a farsi principe della fazione che decretò l’esilio de’ Ghibellini. Poi fu temuto tiranno del po- polo; ed essendosi ammogliato alla figlia di Ugoccione della Faggiuola, Signore di Pi:sa ’, fu citato a scolparsi; e si difese con r armi , finché abbandonato da molti , e affrettandosi a uscire di Firenze, cadde presso a una porta della città, fu cal- pestato dal suo cavallo, e trucidato a furore di plebe *. A lui Dante imputa ogni sciagura della repubblica; e gli minaccia che le sue colpe non meriteranno giustificazioni dopo la morte. A Forese Donati, fratello di Corso, il Poeta dice nel Pur- gatorio:

Però che il luogo u’ fui a viver posto Di giorno in giorno più di ben si spolpa, E a trista ruina par disposto.

e l’ombra gli risponde profetica:

Or va, diss’ ei, che quei che più n ’ ha colpa, Vegg’io a coda d’una bestia tnitto, Verso la valle, ove mai non si scolpa.

La bestia ad ogni pa<!S0 va più ratto, Crescendo sempre, iniìn ch’ella il percuote, E lascia il corpo vilmente disfatto.


1 Vita di Dante, pog 25.

2 Vedi dietro, sez. XXXVIU.

3 Qui dietro, sez. LXXXVllL .... ^ .« ., ^ 4Gio. Villani, lib. Vili, cap, 96; e tutte le azioni di Corso Donati nelle Or’O»

niche del Compagni, anni 1301-1208.