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promissionem:


DISCORSO SUL TESTÒ DEL POEMA DI DANTE. 329

complicando i misteri allegorici in guise efficaci forse alla re- ligione, ma pericolose alla poesia, lascerei volentieri, con le altre tutte a’ termini dove le trovo, anche l’allegoria della selva che introduce al Poema, se alcune sue foime e significazioni esse pure non s’accordassero letteralmente alla missione evan- gelica di san Paolo. I primi interpreti (non perchè non vedes- sero , ma non s’attentavano di additare, sin da’ primi versi della Commedia^ i nomi di personaggi potenti e il vero peri- coloso) spiegarono, per la ma smarrita nella selva oscura , gli orrori delle passioni del Poeta: e per la Lonza^ il Leone e la Lupa^ le idee generali della libidine, deW ambizione, e dell’ava- vizia, che fino allora lo avevano disviato dalla religione e dalla sapienza. Primo Gasparo Gozzi s’accorse: — «che l’invenzione » aveva più del grande di quello eh’ altri credevasi : » e sti- mando tuttavia che la selva significasse gli errori della vita di Dante, intendeva in quelle tre fiere i vizj delle città demo- cratiche e dell’Italia’. Questa opinione, benché perplessa, e in parte non vera, fu come barlume alla venta. Poi venne chi la travide, e ideò che la Lonza fosse Firenze, e il Leone il Regno di Francia, e la Lupa la Curia di lìoma:^ se non che inter- pretò che la selva, della quale il Poeta voleva uscire, fosse « la pubblica Reggenza Fiorentina; » ond’altri rispose : « Adun- » que volendo egli usciie dalla Reggenza Fiorentina che lo » cacciò, gli s’opposero Firenze, Roma, e il Reawe di Fran^ » eia ’, » — Il riso provocato da una assurda ap[ licazione an- nientò anche le vere nella nuova interpretazione : e ogni cri- tico si raffi etto a professare l’antica e abbellirla; di che vedi qui a piedi ^

CLXVII. Non però mostrasi men tenebrosa, e si rimane so- spesa nel primo canto, e non che rispondere né al progresso nò al termine del Poema o alla storia che gli è fondamento, cozza con le altre parti di quella medesima allegoria. Quindi il Gozzi non sapeva darsi ad intendere « come il Veltro » (che nel senso letterale e naturale e poetico e storico addita evidente- mente Cane della Scala) « principe e signore d’una larga na-


Quae Siint per allefuoriam dieta: Haec enim siint duo Testamenla. Unum quit- deni in monte Sina in si’vvitutem generans: qnae est Afìir: Sina eìiitn mons esi in Arabia, qui cunjunclus est ei quae nnnc est i e rasale in, et servii cum filit. suis. Illa autem, quae sursum est Je. usaleni, libera est: qua est mater nostra — Ad Galcithos, IV, 52-26.

i Gozzi, Difesa di Daide, ediz. Zatta.

2 Dio ni si, Aneddoti, I!, 25, seg.

3 Lombardi, Esame delie pr et se Correzioni del Dionìsi, cap. II.

4 « La via vorace fu smarrita da Dante alla morto di De-itrice, (come ossor* » V’-ìno il Biagioli e lo Sf-olari) avvenuta n(M i290. Perduta li virtuosa sua amii-a,

• rimasto in t)alia di sé stesso, con un vuoto immenso nel cuore, preso da ¦ false speranze di bene s’abbandonò a’ piaceri de’ sensi, secondo il Biagioli, » alle pubblich • faccendo, secondo lo Scolari, che lo condussero alle ama-

• rozze estrome da lui sofferte. » Note de’ vari, ediz. Padovana ; — e l’Esam,e della Divina Commedia, di Giuseppe de’ Cesari; Introduzione al Discorso primOf nelle giunte di Roma, yol. IV,


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