Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/215

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alla pittura, il più valente di tutti era tenuto Ridolfo Grillandai, Bastiano se lo elesse per amico, per imparare da lui a colorire, e così divennero amicissimi. Ma non lasciando perciò Bastiano di attendere al detto cartone e fare di quelli ignudi, ritrasse in un cartonetto tutta insieme l’invenzione di quel gruppo di figure, la quale niuno di tanti che vi avevano lavorato aveva mai disegnato interamente. E perché vi attese con quanto studio gli fu mai possibile, ne seguì che poi ad ogni proposito seppe render conto delle forze, attitudini e muscoli di quelle figure e quali erano state le cagioni che avevano mosso il Buonarruoto a fare alcune positure difficili. Nel che fare, parlando egli con gravità, adagio e sentenziosamente gli fu da una schiera di virtuosi artefici posto il sopranome d’Aristotile, il quale gli stette anco tanto meglio, quanto pareva che secondo un antico ritratto di quel grandissimo filosofo e secretario della natura, egli molto il somigliasse. Ma per tornare al cartonetto ritratto da Aristotile, egli il tenne poi sempre così caro che essendo andato male l’originale del Buonarruoto, nol volle mai dare né per prezzo, né per altra cagione, né lasciarlo ritrarre, anzi nol mostrava se non come le cose preziose si fanno ai più cari amici e per favore. Questo disegno poi l’anno 1542 fu da Aristotile a persuasione di Giorgio Vasari suo amicissimo ritratto in un quadro a olio di chiaro scuro che fu mandato per mezzo di monsignor Giovio al re Francesco di Francia, che l’ebbe carissimo e ne diede premio onorato al San Gallo. E ciò fece il Vasari, perché si conservasse la memoria di quell’opera, atteso che le carte agevolmente vanno male. E perché si dilettò dunque Aristotile nella sua giovanezza, come hanno fatto gl’altri di casa sua, delle cose d’architettura, attese a misurar piante di edifizii e con molta diligenza alle cose di prospettiva, nel che fare gli fu di gran comodo un suo fratello chiamato Giovan Francesco, il quale come architettore attendeva alla fabrica di S. Piero, sotto Giuliano Leni proveditore. Giovan Francesco dunque, avendo tirato a Roma Aristotile e servendosene a tener conti in un gran maneggio che avea di fornaci, di calcine, di lavori, pozzolane e tufi che gl’apportavano grandissimo guadagno, si stette un tempo a quel modo Bastiano senza far altro che disegnare nella cappella di Michelagnolo et andarsi trattenendo per mezzo di Messer Giannozzo Pandolfini vescovo di Troia, in casa di Raffaello da Urbino. Onde, avendo poi Raffaello fatto al detto Vescovo il disegno per un palazzo che volea fare in via di S. Gallo in Fiorenza, fu il detto Giovan Francesco mandato a metterlo in opera, sì come fece con quanta diligenza è possibile che un’opera così fatta si conduca. Ma l’anno 1530, essendo morto Giovan Francesco e stato posto l’assedio intorno a Fiorenza, si rimase come diremo imperfetta quell’opera; all’esecuzione della quale fu messo poi Aristotile suo fratello, che se n’era molti e molti anni innanzi tornato come si dirà a Fiorenza, avendo sotto Giuliano Leni sopra detto, avanzato grossa somma di danari nell’aviamento che gli aveva lasciato in Roma il fratello; con una parte de’ quali danari comperò Aristotile, a persuasione di Luigi Alamanni e Zanobi Buondelmonti suoi amicissimi, un sito di casa dietro al convento de’ Servi, vicino ad Andrea del Sarto, dove poi, con animo di tòr donna e riposarsi, murò un’assai commoda casetta. Tornato dunque a Fiorenza Aristotile, perché era molto inclinato alla prospettiva, alla quale aveva atteso in Roma sotto Bramante, non pareva che quasi si dilettasse d’altro, ma nondimeno, oltre al fare qualche ritratto di naturale, colorì a olio in due tele grandi il mangiare