Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/219

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musica fu Giovan Batista Strozzi allora giovane e di bellissimo ingegno. Ma perché dell’altre cose che adornarono questa comedia, gl’intermedii e le musiche, fu scritto allora a bastanza, non dirò altro se non chi furono coloro che fecero alcune pitture, bastando per ora sapere che l’altre cose condussero il detto Giovan Batista Strozzi, il Tribolo et Aristotile. Erano sotto la scena della comedia le facciate dalle bande spartite in sei quadri dipinti e grandi braccia otto l’uno e larghi cinque, ciascuno de’ quali aveva intorno un ornamento largo un braccio e due terzi, il quale faceva fregiatura intorno et era scorniciato verso le pitture, facendo quattro tondi in croce con due motti latini per ciascuna storia, e nel resto erano imprese a proposito; sopra girava un fregio di rovesci azzurri a torno a torno, salvo che dove era la prospettiva, e sopra questo era un cielo pur di rovesci, che copriva tutto il cortile, nel quale fregio di rovesci, sopra ogni quadro di storia era l’arme d’alcuna delle famiglie più illustri, con le quali avevano avuto parentado la casa de’ Medici. Cominciandomi dunque dalle parte di levante, a canto alla scena nella prima storia, la quale era di mano di Francesco Ubertini detto il Bachiacca, era la tornata d’esilio del Magnifico Cosimo de’ Medici, l’impresa erano due colombe sopra un ramo d’oro, e l’arme che era nel fregio era quella del duca Cosimo; nell’altro, il quale era di mano del medesimo, era l’andata a Napoli del Magnifico Lorenzo, l’impresa un pellicano, e l’arme quella del duca Lorenzo, cioè Medici e Savoia; nel terzo quadro, stato dipinto da Pierfrancesco di Iacopo di Sandro, era la venuta di papa Leone X a Fiorenza, portato dai suoi cittadini sotto il baldacchino: l’impresa era un braccio ritto, e l’arme quella del duca Giuliano, cioè Medici e Savoia; nel quarto quadro, di mano del medesimo, era Biegrassa presa dal signor Giovanni, che di quella si vedeva uscire vettorioso: l’impresa era il fulmine di Giove, e l’arme del fregio era quella del duca Alessandro, cioè Austria e Medici; nel quinto, papa Clemente coronava in Bologna Carlo V: l’impresa era un serpe che si mordeva la coda, e l’arme era di Francia e Medici, e questa era di mano di Domenico Conti, discepolo d’Andrea del Sarto, il quale mostrò non valere molto, mancatogli l’aiuto d’alcuni giovani de’ quali pensava servirsi, perché tutti i buoni e cattivi erano in opera. Onde fu riso di lui, che molto presumendosi, si era altre volte con poco giudizio riso d’altri. Nella sesta storia et ultima da quella banda era di mano del Bronzino la disputa che ebbono tra loro in Napoli et innanzi all’imperatore, il duca Alessandro et i fuoriusciti fiorentini, col fiume Sebeto e molte figure, e questo fu bellissimo quadro e migliore di tutti gl’altri: l’impresa era una palma, e l’arme quella di Spagna. Dirimpetto alla tornata del Magnifico Cosimo, cioè dall’altra banda, era il felicissimo natale del duca Cosimo: l’impresa era una fenice, e l’arme quella della città di Fiorenza, cioè un giglio rosso. A canto a questo era la creazione o vero elezzione del medesimo alla degnità del ducato: l’impresa il caduceo di Mercurio, e nel fregio l’arme del castellano della fortezza. E questa storia, essendo stata disegnata da Francesco Salviati, perché ebbe a partirsi in que’ giorni di Fiorenza, fu finita eccellentemente da Carlo Portelli da Loro. Nella terza erano i tre superbi oratori campani cacciati del senato romano per la loro temeraria dimanda, secondo che racconta Tito Livio nel ventesimo libro della sua storia, i quali in questo luogo significavano tre cardinali venuti invano al duca Cosimo con animo di levarlo del governo: l’impresa era un cavallo alato, e l’arme quella de’ Salviati e Medici.