Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/220

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Nell’altro era la presa di Monte Murlo: l’impresa un assiuolo egizzio sopra la testa di Pirro, e l’arme quella di casa Sforza e Medici, nella quale storia, che fu dipinta da Antonio di [Donnino di] Domenico pittore fiero nelle movenze, si vedeva nel lontano una scaramuccia di cavalli tanto bella, che quel quadro, di mano di persona riputata debole, riuscì molto migliore che l’opere d’alcuni altri che erano valentuomini solamente in openione. Nell’altro si vedeva il duca Cosimo essere investito dalla maestà cesarea di tutte l’insegne et imprese ducali: l’impresa era una pica con foglie d’alloro in bocca, e nel fregio era l’arme de’ Medici e di Tolledo, e questa era di mano di Battista Franco viniziano. Nell’ultimo di tutti questi quadri erano le nozze del medesimo duca Cosimo fatte in Napoli: l’impresa erano due cornici, simbolo antico delle nozze, e nel fregio era l’arme di don Petro di Tolledo viceré di Napoli, e questa, che era di mano del Bronzino, era fatta con tanta grazia, che superò come la prima tutte l’altre storie. Fu similmente ordinato dal medesimo Aristotile, sopra la loggia, un fregio con altre storiette et arme che fu molto lodato e piacque a sua eccellenza che di tutto il remunerò largamente. E dopo, quasi ogni anno, fece qualche scena e prospettiva per le comedie che si facevano per carnovale, avendo in quella maniera di pitture tanta pratica et aiuto dalla natura, che aveva disegnato volere scriverne et insegnare, ma perché la cosa gli riuscì più difficile che non s’aveva pensato, se ne tolse giù, e massimamente essendo poi stato da altri che governarono il palazzo fatto fare prospettive dal Bronzino e Francesco Salviati, come si dirà a suo luogo. Vedendo adunque Aristotile essere passati molti anni, ne’ quali non era stato adoperato, se n’andò a Roma a trovare Antonio da San Gallo suo cugino, il quale subito che fu arivato, dopo averlo ricevuto e veduto ben volentieri, lo mise a sollecitare alcune fabriche con provisione di scudi dieci il mese, e dopo lo mandò a Castro, dove stette alcuni mesi di commessione di papa Paulo Terzo a condurre gran parte di quelle muraglie secondo il disegno et ordine d’Antonio. E conciò fusse che Aristotile, essendosi alevato con Antonio da piccolo et avezzatosi a procedere seco troppo familiarmente, dicono che Antonio lo teneva lontano, perché non si era mai potuto avezare a dirgli voi, di maniera che gli dava del tu, se ben fussero stati dinanzi al Papa non che in un cerchio di signori e gentiluomini, nella maniera che ancor fanno altri fiorentini avezzi all’antica et a dar del tu ad ognuno, come fussero da Norcia, senza sapersi accomodare al vivere moderno secondo che fanno gl’altri, e con l’usanza portano di mano in mano. La qual cosa quanto paresse strana ad Antonio, avezzo a essere onorato da cardinali et altri grand’uomini, ognuno se lo pensi. Venuta dunque a fastidio ad Aristotile la stanza di Castro, pregò Antonio che lo facesse tornare a Roma, di che lo compiacque Antonio molto volentieri, ma gli disse che procedesse seco con altra maniera e miglior creanza, massimamente là dove fussero in presenza di gran personaggi. Un anno di carnovale, facendo in Roma Ruberto Strozzi banchetto a certi signori suoi amici, et avendosi a recitare una comedia nelle sue case, gli fece Aristotile nella sala maggiore una prospettiva (per quanto si poteva in stretto luogo) bellissima e tanto vaga e graziosa, che fra gl’altri il cardinal Farnese, non pure ne restò maravigliato, ma gliene fece fare una nel suo