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TOMMASO DETTO GIOTTINO 191

(versione diplomatica)


(versione critica)


bello a canto all’altar maggiore a man ritta; in Ascesi ancora nella chiesa di sotto di S. Francesco dipinse sopra il pergamo, non vi essendo altro luogo che non fusse dipinto, in un arco la coronazione di Nostra Donna con molti Angeli intorno, tanto graziosi e con bell’arie nei volti et in modo dolci e delicati, che mostrano, con la solita unione de’ colori il che era proprio di questo pittore, lui avere tutti gl’altri insin allora stati paragonato; et intorno a questo arco fece alcune storie di S. Niccolò. Parimente nel monasterio di S. Chiara della medesima città, a mezzo la chiesa, dipinse una storia in fresco, nella quale è S. Chiara sostenuta in aria da due Angeli che paiono veri, la quale resuscita un fanciullo che era morto, mentre le stanno intorno tutte piene di maraviglia molte femine belle nel viso, nell’acconciature de’ capi e negl’abiti che hanno indosso di que’ tempi molto graziosi. Nella medesima città d’Ascesi fece sopra la porta della città che va al Duomo, cioè in un arco dalla parte di dentro, una Nostra Donna col Figliuolo in collo, con tanta diligenza che pare viva, et un S. Francesco et un altro santo bellissimi, le quali due opere, se bene la storia di S. Chiara non è finita per essersene Tommaso tornato a Firenze amalato, sono perfette e d’ogni lode dignissime. Dicesi che Tommaso fu persona maninconica e molto soletaria, ma dell’arte amorevole e studiosissimo, come apertamente si vede in Fiorenza nella chiesa di San Romeo, per una tavola lavorata da lui a tempera, con tanta diligenza et amore, che di suo non si è mai veduto in legno cosa meglio fatta: in questa tavola, che è posta nel tramezzo di detta chiesa a man destra, è un Cristo morto con le Marie intorno e Nicodemo, accompagnati da altre figure, che con amaritudine et atti dolcissimi et affettuosi piangono quella morte, torcendosi con diversi gesti di mani e battendosi di maniera che nell’aria de’ visi si dimostra assai chiaramente l’aspro dolore del costar tanto i peccati nostri; et è cosa maravigliosa a considerare, non che egli penetrasse con l’ingegno a sì alta imaginazione, ma che la potesse tanto bene esprimere col pennello. Laonde, è quest’opera sommamente degna di lode, non tanto per lo soggetto e per l’invenzione, quanto per avere in essa mostrato l’artefice in alcune teste che piangono che, ancora che il lineamento si storca nelle ciglia, ne gl’occhi, nel naso e nella bocca di chi piagne, non guasta però nè altera una certa bellezza, che suole molto patire nel pianto quando altri non sa bene valersi dei buon modi nell’arte. Ma non è gran fatto che Giottino conducesse questa tavola con tanti avertimenti, essendo stato nelle sue fatiche desideroso sempre più di fama e di gloria che d’altro premio o ingordigia del guadagno, che fa meno diligenti e buoni i maestri del tempo nostro. E come non proccacciò costui d’avere gran richezze, così non andò anche molto dietro ai commodi della vita; anzi, vivendo poveramente, cercò di sodisfar più altri che se stesso perchè, governandosi male e durando fatica, si morì di tisico d’età d’anni XXXII; e da’ parenti ebbe sepoltura fuor di S. Maria Novella alla porta del Martello allato al sepolcro di Bontura. Furono discepoli di Giottino, il quale lasciò più fama che facultà, Giovanni Tossicani d’Arezzo, Michelino, Giovanni dal Ponte e Lippo, i quali furono assai ragionevoli maestri di quest’arte, ma più di tutti Giovanni Tossicani, il quale fece, dopo Tommaso,