Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/183

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e gli venne l’idea di scambiare i suoi abiti con altri più in armonia con la sua posizione. Questo scambio doveva, d’altra parte, produrre un po’ di danaro, da applicarsi immediatamente a soddisfare il suo appetito.

Presa questa risoluzione, rimaneva di porla in esecuzione. Non fu che dopo lunghe ricerche che Gambalesta scoprì un rigattiere indigeno, al quale espose la sua domanda. L’abito europeo piacque al rigattiere, e ben presto Gambalesta si trovò coperto con una vecchia veste giapponese ed in testa una specie di turbante tutto scolorito dall’azione del tempo. Ma in cambio alcune monetuccie d’argento gli risuonavano in tasca.

«Bene, pensò egli, mi figurerò di essere in carnevale.»

La prima cura di Gambalesta in tal modo «giapponizzato» fu di entrare in una teahouse (bottega da thè) di modesta apparenza, e qui, con un avanzo di pollo e delle manate di riso a discrezione, egli fe’ colazione da uomo pel quale il pranzo sia ancora un problema da risolvere.

«Ora, disse tra sè allorchè fu copiosamente ristorato, si tratta di non perdere la testa. Non ho più l’espediente di vendere queste spoglie per delle altre ancor più giapponesi. È d’uopo dunque pensare al mezzo di lasciare più prontamente possibile questo paese del Sole, di cui non conserverò che un doloroso ricordo!»

Gambalesta pensò allora a visitare i piroscafi in partenza per l’America. Egli intendeva offrirsi in qualità di cuoco o di domestico, non chiedendo altra retribuzione che il passaggio e il vitto. A San