Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/184

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Francisco poi s’ingegnerebbe a trarsi d’impaccio. L’importante era di percorrere quelle quattromila miglia del Pacifico, che intercedono tra il Giappone e il Nuovo-Mondo.

Gambalesta non essendo uomo da trascurare una buona idea, si diresse verso il porto di Yokohama. Mano mano che si avvicinava ai docks, il suo progetto, che gli era parso così semplice al momento che glien’era venuta l’idea, gli pareva ognora più ineseguibile. Perchè mo’ si avrebbe bisogno di un cuoco o di un cameriere a bordo di un piroscafo americano, e quale fiducia inspirerebbe egli, vestito a quel modo? Quali raccomandazioni far valere? Quali referenze indicare?

Mentre rifletteva così, i suoi sguardi caddero sopra un immenso cartellone che una specie di clown portava su e giù per le vie di Yokohama. Quel manifesto era così concepito in inglese:

                   COMPAGNIA GIAPPONESE ACROBATICA
                            DELL’ONOREVOLE
                           WILLIAM BATULCAR
         Ultime rappresentazioni prima della loro partenza
                 per gli Stati Uniti d’America, dei
                       LUNGHI-NASI-LUNGHI-NASI
             sotto l’invocazione diretta del Dio Tengù
                          GRANDE ENTUSIASMO.

«Gli Stati Uniti d’America! esclamò Gambalesta, ecco il fatto mio!...»

Egli seguì l’uomo-cartellone, e, dietro a lui entrò ben presto nella città giapponese. Da lì a un quarto d’ora egli si fermava dinanzi ad una vasta baracca,