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ette da un semplice espositore di mummie un papiro contenente una narrazione scritta dalla mano d’Abramo ed altri celebri Egiziani.»
Questa narrazione diventando lunghetta, le file dell’uditorio si diradarono ancora, e il pubblico rimase composto di non più di una ventina di persone.
Ma l’elder, senz’affliggersi di questa diserzione, raccontò con molti particolari «come qualmente Joe Smith fece bancarotta nel 1837; come qualmente i suoi azionisti rovinati lo intonacarono di pece e lo rotolarono nelle penne; come qualmente lo si ritrovò, più onorevole ed onorato che mai, parecchi anni dopo, a Indipendenza, nel Missurì, e capo di una comunità fiorente, che annoverava nientemeno che tremila discepoli, e come allora perseguitato dall’odio dei gentili, dovette fuggire nel Far-West (estremo occidente) americano.»
Dieci uditori erano ancora presenti, e tra essi l’onesto Gambalesta che ascoltava tutt’orecchi. Per tal modo egli venne a sapere come, dopo lunghe persecuzioni, Smith ricomparve nell’Illinese, e fondò nel 1839, sulle sponde del Mississippì, Nauvoo la-Bella, la cui popolazione ascese sino a venticinquemila anime; come Smith ne divenne il sindaco, il giudice supremo e il generale in capo; come nel 1843, egli propose la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, e come infine, attirato in un agguato, a Cartagine, egli fu gettato in prigione ed assassinato da una banda di uomini mascherati.
In questo momento Gambalesta era assolutamente solo nel vagone, e l’elder guardandolo in faccia, affascinandolo con le sue parole, gli ricordò che due anni dopo l’assassinio di Smyth, il suo successore, il profeta