Pagina:Verne - Il giro del mondo in ottanta giorni, Milano, Treves, 1873.djvu/235

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ebbe stato più naturale di farci prima passare a piedi su questo ponte, noi altri viaggiatori, e il treno poi!...

Ma nessuno udì questa saggia riflessione, e nessuno avrebbe voluto riconoscerne la giustezza.

I viaggiatori erano ricollocati nel loro vagone. Gambalesta ripigliò il suo posto, senza dir nulla di ciò che era accaduto. I giuocatori erano tutti assorti nel whist.

La locomotiva fischiò vigorosamente. Il macchinista, rovesciando il vapore, ricondusse il suo treno indietro, per circa un miglio, — rinculando come un saltatore che vuol prendere lo slancio.

Indi, ad un secondo fischio, il cammino in avanti ricominciò, poi si accelerò; in breve la velocità divenne spaventevole; non si sentiva altro che un solo nitrito uscente dalla locomotiva; gli stantuffi battevano venti colpi al secondo; le assi delle ruote fumavano nelle scatole del grasso. Si sentiva, per così dire, che tutt’intero il treno, camminando con una rapidità di cento miglia all’ora, non pesava più sulle rotaie. La velocità mangiava la gravitazione.

E si passò! E fu come un lampo. Non si vide nulla del ponte. Il convoglio saltò, si può proprio dirlo, da una sponda all’altra, e il macchinista non riescì a fermare la sua macchina furibonda che a cinque miglia al di là della stazione.

Ma appena il treno ebbe varcato il fiume, il ponte, definitivamente rovinato, s’inabissava con fracasso nelle acque di Medicine-Bow.