Pagina:Vivanti - I divoratori, Firenze, Bemporad, 1922.djvu/100

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88 annie vivanti

la cuginetta. Mentre Nancy, come una principessina indolente, sorbiva col dito mignolo in aria, il suo cioccolatte, Adele apriva la corrispondenza. Leggeva ad alta voce anzitutto i ritagli di giornale che parlavano di Nancy; poi le domande di autografi, che venivano accuratamente messe da parte. Di queste s’incaricava Adele, che, secondo lei, scriveva l’autografo di Nancy meglio di Nancy stessa.

— Trovo che assomiglia di più alla tua firma quando la scrivo io, che quando la scrivi tu, — diceva Adele.

Indi le poesie e le lettere d’amore venivano lette e commentate con squillanti risa; e infine le lettere di affari si mettevano via e nessuno le leggeva.

Era tanta la gente che veniva a parlare a Nancy di ciò che essa aveva scritto, che non le restava più il tempo di scrivere cose nuove.

Ma la sua alacre fantasia era stimolata da tutti i modernisti e simbolisti, i futuristi ed ultraisti che le recitavano le loro opere. E nelle lunghe sere sotto il chiarore della lampada famigliare, mentre la zia Carlotta e lo zio Giacomo giocavano a briscola, Nino, appoggiati i gomiti alla tavola, leggeva le «Rime Nuove» di Carducci alle tre donne ascoltanti — Valeria, Adele e Nancy — che sedute nelle grandi poltrone, con le palpebre abbassate e le mani in grembo, parevano un trittico delle Stagioni d’Amore.

Valeria sedeva sempre un po’ in disparte, nell’ombra; e se qualcuno le parlava, essa rispondeva piano, con breve dolcezza, e col sorriso spento. Le sue fossette si erano nascoste in due piccole linee che le solcavano le guancie. Valeria non era più Valeria. Era la madre di Nancy. Essa si era ritratta nell’ombra dove seggono le madri, dagli occhi miti che nessuno guarda, dalle bocche dolci che nessuno bacia, dalle mani bianche che benedicono e rinunziano.