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     Che con gli acuti alati dardi suoi
     Scolpì la bella immago entro il mio cuore.


IV


Forte pensier ne’ miei desiri affiso
     Mi spinse un giorno alla magion d’Amore
     E giunto all’inuman fiero Signore,
     Ch’era sul tron cinto di fiamme assiso:
5Vidi il barbaro tetto, e tutto inciso
     Era a note di pianto e di dolore,
     Mentre d’intorno un indistinto orrore
     Scorreva ognor per tener lungi il riso.
Folte schiere d’Amanti afflitte e smorte
     10Alto quivi piangeano, e fin la speme
     Io vidi mesta, e in volto umìl la sorte;
E il crudel, che d’ognuno udìa la pena,
     Sai mio cuor, che facea, Dannava a morte
     Chi soffrir non volea la sua catena.


MONSIGNOR GIO. DELLA CASA.1


Cura, che di timor ti nutri e cresci,
     E più temendo maggior forza acquisti,
     E mentre colla fiamma il gelo mesci,
     Tutto il regno d’Amor turbi e contristi:
5Poichè ’n brev’ora entro al mio cor hai misti
     Tutti gli amari tuoi, dal mio cor esci:
     Torna a Cocito, ai lagrimosi e tristi
     Campi d’inferno; ivi a te stessa incresci.
Ivi senza riposo i giorni mena,
     10Senza sonno le notti; ivi ti duoli
     Non men di dubbia che di certa pena.
Vattene: a che più fiera che non suoli,
     Se ’l tuo venen m’è corso in ogni vena,
     Con nove larve a me ritorni e voli?

  1. La gelosia.