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(527) pensieri 43

c. 11, dove Floro dice di Antonio il triumviro, patriae, nominis, togae, fascium oblitus, pare che questa sia un’imitazione di Orazio: (Od. v, l. 3, v. 10).

Anciliorum, nominis et togae
Oblitus aeternaeque Vestae (18 gennaio 1821).


Vedi p. 723, fine.


*    Alla p. 477. Floro è noto per il molto che ha di poetico, non solo nell’invenzione, nell’immaginazione, evidenza, fecondità, come Livio, ma nella sentenza e nella frase, anzi non tanto nella facoltà quanto nella maniera, nello stile, e nella volontà. E in ogni modo Floro ha tanto di gravità, nobiltà, posatezza ed ancora castigatezza, insomma tanto sapor di prosa, quanto non si troverà facilmente in nessun moderno, se non forse, ma dico forse, in qualcuno de’ nostri cinquecentisti. E quella stessa dose di pregi, (senza  (527) i quali però non ci può esser buona né vera prosa, basterebbe per fare ammirare uno scrittore de’ nostri tempi, e farlo giudicare sommo ed unico (aggiungete tutto quello che spetta alla lingua: eleganza, purità sufficientissima, armonia, varietà ecc., forma de’ periodi e loro disposizione e connessione ec.). Ora i migliori e sommi prosatori francesi, in ordine a questi pregi, non sono degni di venir nemmeno in confronto con uno de’ peggiori ed infimi classici latini (19 gennaio 1821).


*    I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto.


*   Τέταρτος (Ξενοκράτης), φιλόσοφος, Ἐλεγείαν γεγραφὼς οὐκ ἐπιτυχῶς (Elegiae scriptor non satis probatus). Ἴδιον1 δὲ (Ita enim se habet res). Ποιηταὶ μὲν γὰρ ἐπιβαλλόμενοι πεζογραφεῖν, ἐπιτυγχάνουσι· (si quid prosa oratione scribere

  1. Ἴδιον, strano. Vedi le mie osservazioni sui Taumasiografi greci. Mirum hoc videri potest, quod etc.