Vai al contenuto

Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/22

Da Wikisource.

zola

vuta una tazza di latte in un caffè di faccia alla stazione. — E poiché Genoveffa guardava il fagottino che ella aveva posato in terra, aggiunse: — La valigetta l’ho lasciata là.

Arrossiva, capiva che non si casca a quel modo in casa d’altri. Già nel vagone, fin da quando il treno era partito da Valognes, le erano cominciati i rimpianti e la paura, e per questo aveva lasciata la valigia e fatto far colazione ai ragazzi.

— Guardiamo... — disse a un tratto il Baudu. — Discorriamo un po’ e discorriamo bene. Io ti scrissi, è vero; ma è già passato un anno, e vedi, figliuola mia, da un anno in qua gli affari non sono andati punto a modo mio...

Si fermò, soffocato da una commozione che non voleva mostrare. La signora Baudu e Genoveffa, con aria rassegnata, avevano abbassati gli occhi.

— Oh! — seguitò — è una crisi che passerà; di questo ne sono sicuro. Ma, vedi, ho dovuto mandar via della gente; non sono piú che in tre, e a questi lumi di luna... Insomma, povera figliuola, io non ti posso mica aiutare come t’avevo detto!

Dionisia ascoltava, sbigottita, pallida pallida.

Egli insisté, aggiungendo:

— Non ci si guadagnerebbe né tu né noi.

— Va bene, zio — disse ella alla fine, penosamente. — Cercherò di cavarmela da me sola.

I Baudu non erano cattivi; ma si lamentavano di non avere avuto mai fortuna. Quando il commercio andava bene, avevano dovuto tirar su cinque ragazzi; tre erano morti a venti anni; il quarto era riuscito tutt’altro da quel che volevano; il quinto era partito di recente per il


20