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zola


Ad alcuni piaceva; agli altri pareva appiccicoso.

Qualcuno poi se ne stava zitto zitto, tutt’assorto nel suo giornale, senza neppure accorgersi di ciò che mangiava. Tutti si asciugavano la fronte; la stretta cantina si empiva d’un vapore rossastro; e le ombre di quelli che passavano nella via, correvano continuamente, come strisce nere, sulla tavola in disordine.

— Pane al Deloche! — urlò un burlone.

Ciascuno si tagliava la propria fetta, e poi rificcava il coltello nella crosta fino al manico, e il pane seguitava a girare.

— Chi vuol fare a baratto, di questo riso, con la frutta? — domandò l’Hutin.

Quand’ebbe concluso l’affare con un giovi nottino gracile, cercò di dar via anche il vino; ma nessuno lo volle, tanto era cattivo.

— Il Robineau, dunque, è tornato, — continuò a dire tra le risate e i discorsi che s’incrociavano. — Oh! è un affare grave suo... Figuratevi che corrompe le ragazze! Già, le corrompe a cravattine!

— Zitto! sussurrò il Favier. — Gli fanno il processo, proprio in questo momento.

E con la coda dell’occhio accennò il Bouthemont che camminava su e giú per l’andito tra il Mouret e il Bourdoncle, tutt’e tre pensierosi e in colloquio, fatto a voce bassa ma vivacemente. La stanza dei capi e degli aiuti era per l’appunto di faccia. Quando il Bouthemont, avendo finito di mangiare, vide passare il Mouret, s’era alzato da tavola, e raccontava le seccature che gli dava la sua sezione e come non sapesse che cosa fare. Gli altri due stavano a sentire, non disposti ancora a mandar via il Robineau, valentissi-


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