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il paradiso delle signore

ballavano meglio delle grandi. Paolina, fatta seria per un momento dalla sua frittata, che le pareva cotta troppo, tornava allegra sentendola invece assai buona.

— Datemi un po’ di vino! — chiese a Dionisia. — Vi dovreste, anche voi, ordinare una frittata.

— La carne a me basta — rispose la giovinetta che, per non spendere nemmeno un soldo, si contentava del vitto del magazzino, benché le ripugnasse.

Quando il garzone portò lo sformato di riso, le ragazze protestarono; anche la settimana scorsa lo avevan lasciato, e speravano non tornasse piú. Dionisia, senza pensarci, turbata da quelle storie di Clara, per via di Gianni, fu la sola che ne mangiò, e tutte la guardavano come se facesse schifo. Si sfogarono a spese loro con la conserva; era, del resto, «elegante» mangiare a proprie spese.

— I commessi, sapete? — disse la ragazzina delicata — si son lamentati e la Direzione ha promesso...

Fu uno scroscio di risate; non discorsero piú che della Direzione. Non ce n’era una che non pigliasse il caffè, eccetto Dionisia, la quale non lo poteva soffrire, diceva lei. E stavano lí con la loro tazzina davanti; quelle delle «biancherie» vestite di lana come semplici borghesi, quelle delle «confezioni» vestite di seta, col tovagliuolo sotto il mento per non insudiciarsi; parevan signore, scese in cucina a mangiare con le cameriere. Avevano aperta la finestra per dare un po’ d’aria, e mandar via quell’afa e quel puzzo; ma bisognò richiuderla subito, perché le ruote dei legni pareva passassero sulla tavola.


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