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zola

mangi... E dimmi un po’, ora che si può parlare, o perché non hai preso marito?...

Dionisia posò il bicchiere che stava per mettersi alle labbra.

— Oh, zio! maritarmi?... e allora i ragazzi?

Finí col dare in una risata, tanto quell’idea curiosa. E poi chi avrebbe mai voluto saperne di lei, cosí senza un soldo, piccina come un uccellino, e per di piú brutta com’era? No, no, non voleva marito; n’aveva abbastanza di quei due bambini!

— Sbagli! Sbagli! — ripeteva lo zio — una donna ha sempre bisogno d’un uomo. Se tu ti fossi inciampata in un bravo ragazzo, non vi trovereste sul lastrico di Parigi, tu e i tuoi fratelli, come gli zingari.

S’interruppe per fare un’altra volta le parti, con una parsimonia piena di giustizia, d’un vassoio di patate cotte col lardo, che la serva aveva portato.

Poi indicò col cucchiaio Genoveffa e il Colomban:

Vedi! — riprese a dire — quei due lí, se la stagione d’inverno andrà bene, saranno marito e moglie a primavera.

Era quella la consuetudine patriarcale della casa. Il fondatore del negozio, Aristide Finet, aveva data la sua figliuola Desiderata al primo commesso, Hauchecorne, e lui Baudu, venuto in via Michodière con sette franchi in tasca, s’era sposata la figliuola dell’Hauchecorne, Elisabetta.

Ed ora, subito che gli affari fossero andati un po’ meglio, voleva dare la figliuola e il negozio al Colomban. Se ritardava cosí un matrimonio fissato da tre anni, era per uno scrupolo, per una cocciutaggine di probità: gli avevan data la casa


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