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il paradiso delle signore

in florido stato, a lui; e non voleva lasciarla al genero con meno avventori e affari imbrogliati.

Il Baudu seguitò, presentò il Colomban che era nato a Rambouillet come il suocero, anzi erano cugini alla lontana. Disse che era un gran lavoratore, che da dieci anni andava su e giú per la bottega, e che la fortuna se l’era meritata davvero. E poi non era mica il primo venuto; aveva per babbo un veterinario famoso in tutta la regione di Senna e Oise, un vero artista nel suo genere, ma tanto ghiottone, che finiva col mangiarsi tutto per sé.

— Grazie a Dio, — disse il negoziante a mo’ di conclusione — se il padre beve e corre la cavallina, il figliuolo almeno ha imparato qui ciò che costano i quattrini!

Mentre egli parlava, Dionisia guardava il Colomban e Genoveffa. Stavano accanto, ma tranquilli tranquilli, senza mai arrossire, senza mai sorridere: Fin dal giorno ch’era entrato nel negozio, il giovinotto aveva fatto assegnamento su quel matrimonio. Era salito su su da ragazzino di bottega a impiegato stabile, ed ammesso finalmente alle confidenze e ai piaceri della famiglia, sempre con una gran pazienza, regolato come un orologio, pensando che Genoveffa era un affare ottimo e onesto. La certezza di ottenerla gl’impediva di desiderarla. E la ragazza si era avvezzata anche lei a volergli bene, ma con la gravità dell’indole sua tutta chiusa, e con una passione profonda che, nella calma volgare e metodica della sua vita, ella stessa ignorava.

— Bella cosa, — credé dover dire Dionisia sorridendo per fare un complimento — bella cosa piacersi e potersi sposare!

— Già, allora le cose vanno per il loro ver-


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