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il paradiso delle signore

tasi, ritrovò un po’ di coraggio per affrontare ancora la vita.

Il giorno dopo, sull’ora di colazione, essendo stata mandata dal Robineau a fare certe commissioni, nel passare davanti al Vecchio Elbeuf vide il Colomban solo nel negozio, e si affacció all’uscio. I Baudu erano a tavola; si sentiva il rumore delle forchette, di fondo al salottino.

— Potete entrare, — disse il commesso — sono a tavola.

Ma lei gli fece cenno di stare zitto, e lo tirò in un canto, parlandogli sommessamente:

— Con voi voglio parlare... Ma non avete punto cuore? non vedete che Genoveffa vi vuol bene e che la fate morire?

Fremeva tutta; la febbre del giorno innanzi la riprendeva. Lui, sbalordito da quell’assalto improvviso, la guardava senza saper che si dire.

— Capite? — continuò Dionisia. Genoveffa sa che volete bene a un’altra. Me l’ha detto lei, e singhiozzava da far pietà ai sassi. Ah! povera disgraziata! in un bello stato l’avete ridotta! se aveste visto che braccia! una cosa da far piangere! Voi non la potete far morire cosí. Alla fine egli rispose tutto sossopra:

— Ma non è mica malata; voi esagerate... A me non mi pare... E poi è il suo babbo che rimanda sempre il nostro matrimonio.

Lei, senza tanti riguardi, gli disse ch’era una bugia. S’era accorta che una parola del giovane avrebbe fatto risolvere lo zio. Ma la sorpresa del Colomban non era finta; non se n’era mai accorto davvero del lento agonizzare di Genoveffa. E per lui fu sgradevole piú che doloroso l’esserne fatto accorto; finché non lo sapeva, non aveva rimorsi troppo grossi.


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