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zola


— E per chi? — ripigliava Dionisia — per una poco di buono!... Non lo sapete, dunque, a chi volete bene? Non ve l’ho voluto dire fin ad ora per non darvi questo dispiacere; ho schivato di rispondere alle vostre continue domande... Ebbene! sí, lei va con tutti, si burla di voi, non l’avrete mai, o se l’avrete, l’avrete come l’hanno avuta gli altri, per una volta, alla sfuggita!

Pallido, pallido, il Colomban ascoltava; e ad ogni frase che Dionisia gli gettava sul viso, gli tremavano le labbra e stringeva i denti.

La giovane donna, divenuta crudele, si lasciava ora trascinare da un impeto, di cui non si accorgeva:

— Insomma, — disse in un ultimo grido — ora se la volete saper tutta, è mantenuta dal Mouret!

La voce le restava in gola; era divenuta piú pallida di lui. Si guardarono.

Poi, egli mormorò:

— Le voglio bene!

Allora Dionisia fu colta da vergogna. Perché mai parlava a quel giovinotto, e perché se la pigliava cosí calda? Non sapeva piú che dire: quell’unica frase ch’egli le aveva risposto le rintoccava nel cuore come una campana lontana che l’assordisse. «Le voglio bene!» Aveva ragione lui: amava, non ne poteva sposare un’altra.

Nel voltarsi, vide Genoveffa sulla soglia del salottino.

— Zitto! — disse subito al Colomban.

Ma era troppo tardi: Genoveffa doveva aver sentito; non aveva piú una goccia di sangue nelle labbra. Proprio in quel momento, una signora entrò; era la Bourdelais, una delle poche ri-


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