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zola

specie di caserma i mucchi delle merci, attraverso cristalli che dal pianterreno al secondo piano aprivano la casa alla luce del giorno. Quel cubo enorme, quel bazar smisurato, toglieva loro la vista del cielo e pareva che avesse un po’ di colpa nel freddo che faceva loro battere i denti in fondo alle stamberghe gelide.

Il Mouret, intanto, era lí fin dalle sei a dare i suoi ultimi ordini. Nel mezzo, in faccia al gran portone, una larga galleria correva da cima a fondo, fiancheggiata da due altre piú piccole, a destra e a sinistra, la galleria Monsigny e la galleria della Michodière. Le corti, trasformate in sale, erano tutte a vetriate; e scale di ferro salivano dal pianterreno cosí al primo piano come al secondo; ponti, pur essi di ferro, passavano da una parte all’altra. L’ingegnere, ch’era per caso un uomo intelligente, un giovinotto innamorato dei tempi nuovi, non s’era servito delle pietre che nei sotterranei e nei piloni degli angoli; tutto il resto dell’ossatura era di ferro, a colonne che sorreggevano travi e travicelli. Le volte dei soffitti e le divisioni interne, a mattoni. Dappertutto aveva cosí guadagnato posto; l’aria e la luce entravano liberamente; il pubblico poteva passeggiare con tutto il suo comodo per alte e lunghe gallerie.

Era quella la cattedrale del commercio moderno, solida e leggiera, destinata a un popolo d’avventori. A pianterreno, subito dopo entrati, c’erano le cravatte, i guanti, le sete; la galleria Monsigny era occupata dalla biancheria e dalle tele dipinte; quella della Michodière dalle mercerie, dalle maglie, dalle stoffe, dalle lane. Al primo piano, i vestiti, gli scialli, le trine, ed altre sezioni nuove; al secondo, i letti, i tappeti,


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