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zola

badava un po’ piú a non far aspettare la gente. Era diventato terribile, d’una severità vessatoria, fin da quando la sezione l’aveva aiutato a prendere il posto del Robineau. Si mostrava, anzi, tanto insopportabile, dopo le promesse d’essere un buon compagno, con le quali aveva messi su i colleghi, che questi oramai sostenevano sordamente il Favier contro lui.

— Su! non rispondete? replicò seccamente l’Hutin. — Il signor Bouthemont vi chiede della seta, i disegni piú chiari.

Lí in mezzo, una mostra delle sete da estate rallegrava la sala con un chiarore quasi d’alba, un levarsi del sole, nelle tinte piú delicate della luce, rosa pallido, giallo tenero, azzurro limpi do; velo fluttuante d’Iride. C’eran sete d’una fi nezza aerea, surah piú leggieri della peluria che il vento invola agli alberi, rasi morbidi come la pelle delle vergini cinesi; ce n’erano anche del Giappone e dell’India; senza contare le sete francesi leggiere, a righe, a dadi, a mazzolini, tutti i disegni di fantasia, che facevano pensare alle dame del Settecento passeggianti nelle belle mattine di maggio sotto i grandi alberi d’un parco.

— Piglierò questa, alla Luigi XIV, con i mazzolini di rose — disse finalmente la Desforges.

E mentre il Favier misurava, tentò un’altra volta il Bouthemont che le era rimasto accanto:

— Voglio andare alle «confezioni» per vedere mantelli da viaggio... E bionda quella ragazza che sapete voi?

Il capo della sezione, cui quella insistenza cominciava a dar da pensare, si contentò di sorridere. Ma in quel punto passava Dionisia, che aveva consegnato al Liénard, nei mérinos, la signora Boutarel, quella signora di provincia che


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