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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/355

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il paradiso delle signore

due volte l’anno capitava a Parigi per disperdere nel Paradiso quanto aveva potuto rosicchiare sulle spese di casa. E vedendo che il Favier già prendeva la seta della Desforges, l’Hutin per fargli un dispetto la fermò:

— È inutile: la signorina avrà la cortesia di condurre lei la signora.

Dionisia turbata dové pigliare l’involto e la fattura. Non poteva trovarsi a faccia a faccia con l’Hutin senza sentir vergogna, come se le rammentasse una vecchia colpa. Eppure, se mai, non aveva peccato che fantasticando.

— Mi dica un po’ — chiese pian piano la Desforges al Bouthemont. — È quella lí, che non sa far nulla? dunque è stata riassunta? Deve esser lei l’eroina del romanzo!

— Chi sa? — riprese il capo, continuando a sorridere e risoluto a non dire la verità.

Allora, preceduta da Dionisia, la Desforges salí lentamente la scala.

Quasi ogni gradino bisognava si fermasse, per non essere travolta dall’onda di quelli che scendevano. Nel fremito vivente della casa intera, il ferro vibrava sotto i piedi come se tremasse incessantemente al soffio della moltitudine. Ad ogni scalino un fantoccio, dritto, immobile, stava in mostra con un vestito, un soprabito, una veste da camera: parevano una doppia schiera di soldati per qualche parata trionfale, col breve manico di legno come quello d’un pugnale fitto nella felpa rossa sanguinante pel taglio fresco del collo.

La Desforges finalmente stava per arrivare al primo piano quando un’ondata piú forte delle altre la tenne ferma per un altro momento. Aveva ora sotto di sé le sezioni del pianterreno,


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