Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/433

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— Io — disse la De Boves — non conosco gente più antipatica... A volte mi verrebbe voglia di pigliarle a schiaffi.

E le signore sfogarono i loro rancori. Davanti ai banchi dei magazzini si divoravano tra loro donne in una rabbiosa rivalità di danaro e bellezza.

— Via, via! — concluse Enrichetta — son tutte delle disgraziate che vendono se stesse come tutta l’altra roba dei magazzini.

Il Mouret ebbe la forza di sorridere. Il barone lo stava a guardare, commosso dal bel modo con cui si sapeva frenare. E per questo muto discorso, tornando a parlare delle feste per il re di Prussia: sarebbero stupende, tutti a Parigi dovevano guadagnarci. Enrichetta stava zitta, e divisa tra il desiderio di lasciare ancopensava, ra nell’anticamera Dionisia, e il timore che il Mouret, ormai prevenuto, se n’andasse. Dovette per ciò alzarsi.

— Permettono?

— Ma vi pare! — rispose la Marty. — Farò io da padrona di casa.

Si alzò, prese il tè, empí le tazze. Enrichetta si era voltata verso il barone:

— Restate un altro po’, non è vero?

— Sí, ho da discorrere col signor Mouret.. Invaderemo il vostro salottino.

Ed ella uscí; il vestito di seta nera dette, strisciando sull’uscio, un fruscío, come di lucertola tra le foglie.

Il barone fece subito in modo di portarsi via il Mouret, lasciando le signore al Bouthemont e al Vallagnosc. Poi, a voce bassa, si misero a discorrere, nel vano della finestra del salotto accanto. Era un nuovo affare: il Mouret da gran


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