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il paradiso delle signore

gostino, un vero armadio dove due pezze d’indiana contendevano il posto a tre pezze di bordato. La bottega era tanto stretta, che non ci si poteva rigirare... Allora Il Vecchio Elbeuf, che aveva già sessant’anni di vita, era proprio come ora... Tutto è cambiato, tutto è cambiato!

Scoteva la testa, e le parole lente raccontavano il dramma della sua vita. Nata nel Vecchio Elbeuf, ne amava perfino le pietre umide, non viveva che di quello e per quello, e, superba un tempo della casa ch’era la piú solida ed accreditata del quartiere, aveva avuto il tormento continuo di vedere dirimpetto crescere a poco a poco la casa rivale, da principio non curata e spregiata, poi emula, poi straripante e minacciosa. Era per lei una piaga sempre aperta; quella povera donna languiva ogni giorno piú della rovina del Vecchio Elbeuf, vivacchiando ancora per forza d’impulso, come una macchina caricata, ma consapevole di questo, che l’agonia della bottega sarebbe la sua, ch’ella morrebbe il giorno e nel punto in cui si sarebbero serrati gli sportelli per sempre.

Rimasero tutti zitti; il Baudu batteva con le dita il tamburo sull’incerato della tavola. Si sentiva stanco e quasi rammaricato d’essersi sfogato un’altra volta. E in quell’accasciamento, tutta la famiglia seguitava, senza guardarsi l’un l’altro, a riandare col pensiero i dispiaceri sofferti. Non avevano avuto mai un po’ di buon vento. I figliuoli erano stati già tirati su ed educati, l’agiatezza veniva, ed ecco la concorrenza, cosí d’un tratto, a rovinarli. E c’era anche la casa di Rambouillet, la villa dove da dieci anni il Baudu pensava di ritirarsi; un buon affare, diceva lui, ma in verità una bicocca ch’egli non finiva mai


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