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il paradiso delle signore

di due casseforti smisurate, per le quali l’anno innanzi eran passati ottanta milioni; dava un’occhiata all’ufficio del riscontro delle fatture che aveva venticinque impiegati scelti tra i piú seri; entrava in quello del defalco dove trentacinque giovani, i principianti, dovevano calcolare sulle fatture il tanto per cento dei commessi. Tornava alla cassa centrale, s’arrabbiava a vedere le casseforti, camminava su e giú in mezzo a quel danaro che lo faceva impazzire, inutile come gli era. Lei diceva di no!

Sempre di no, in tutte le sezioni, nelle gallerie, nelle sale, per tutto il magazzino. Andava dalle sete alla biancheria, dalla biancheria alle trine; saliva al primo e al secondo piano; si fermava sui ponti sospesi; prolungava l’ispezione con un’insistenza maniaca e tormentosa.

Il magazzino era cresciuto a dismisura; aveva costituita quella sezione, poi quest’altra; regnava su quei suoi nuovi domini, stendeva il suo impero fino a quella tale industria, l’ultima conquistata; e sempre no! Gli impiegati avrebbero ormai potuto popolare una piccola città: millecinquecento addetti alla vendita, mille altri d’ogni specie, con quaranta ispettori e settanta cassieri: le cucine abbisognavano di trentadue fra cuochi e sguatteri; dieci commessi per la pubblicità, trecento cinquanta garzoni in livrea, ventiquattro pompieri fissi!

E nelle scuderie, scuderie regali, poste in Via Monsigny in faccia ai magazzini, stavan centoquarantacinque cavalli con un lusso di carrozze e d’animali divenuto celebre. Le prime quattro che avevan già messo sossopra tutto il quartiere quando il magazzino occupava soltanto l’angolo di Piazza Gaillon, erano a poco a poco diven-


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