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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/47

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il paradiso delle signore

no rigagnoli d’acqua giallastra, e i marciapiedi erano tutti un piaccichiccio; sotto la pioggia, non si vedeva piú se non un passare confuso di ombrelli aperti, che si urtavano, grandi ali cupe, nelle tenebre. Dionisia diè indietro infreddolita, col cuore stretto anche di piú dalla bottega mezzo buia, lugubre a quell’ora. Un soffio umido, l’alito del vecchio quartiere, saliva su dalla strada: pareva che lo sgocciolio degli ombrelli s’infiltrasse perfino dentro il negozio, e che il selciato con la sua melma e le sue pozzanghere entrasse a finir d’imputridire il pianterreno bianco di salnitro. Intravedeva tutta l’antica Parigi cosí bagnata dall’acqua, e si sentiva rabbrividire, meravigliando dolorosamente di trovare la grande città tanto gelida e brutta.

Ma dall’altra parte della strada il Paradiso delle signore accendeva le lunghe file delle sue siammelle a gas; e Dionisia, attratta di nuovo e quasi riscaldata da quella fonte di luce ardente, vi si ravvicinò. La macchina andava sempre rumorosa, sbuffando il vapore con un ultimo mugghio, mentre gli addetti alla vendita ripiegavano le stoffe, e i cassieri contavano gl’incassi. Attraverso i vetri annebbiati si vedeva come un pullulare vago di luce, si scorgeva confusamente quasi l’interno di un opificio. Dietro il velo della pioggia che seguitava a cadere, quell’apparizione lontana, incerta, prendeva l’aspetto gigantesco di una officina, dove, sul fuoco rosso delle caldaie, passassero le ombre nere dei fochisti. Le vetrine sparivano anch’esse; non si distingueva altro che il bianco delle trine, fatto piú vivo dalle campane lucide di una fila di lumi a gas: e su quello sfondo da cappella le stoffe risaltavano: e il mantello di velluto, guarnito di


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