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zola

in un orecchio, ed egli lo seguí, fremendo, riassalito, oppresso, dal suo male.

Tutto era bell’e finito; la facciata crollava prima d’essere giunta in cima. Che gli giovava quel trionfo supremo del suo orgoglio, se bastava soltanto il nome d’una donna sussurratogli all’orecchio per tormentarlo in quel modo?

Arrivato che fu, il Bourdoncle e il Jouve crederono prudente svignarsela.

Il Deloche scappò anche lui. Dionisia sola restò in faccia al Mouret, piú pallida del solito, ma guardandolo francamente in viso.

— Seguitemi, signorina, — diss’egli duramente.

Lei lo seguí; scesero due piani e traversarono le sezioni dei mobili e dei tappeti, senza dir parola.

Quando fu davanti allo studio, lui ne spalancò tutto l’uscio:

— Entrate, signorina.

E, richiuso ch’ebbe, andò al suo banco. Il nuovo studio del direttore era piú di lusso che quello d’un tempo: invece che di reps, la mobilia era di velluto verde; uno scaffale, pieno di libri, incrostato d’avorio, copriva una parete; ma il ritratto della signora Hédouin c’era sempre, giovane, con un bel viso calmo, che sorrideva di dentro la cornice dorata.

— Signorina, — diss’egli finalmente, cercando mantenersi in una severità fredda — ci son delle cose che noi non possiamo tollerare... La buona condotta qui è di rigore...

Si fermò, cercando le parole per non lasciarsi prendere dalla collera furiosa che sentiva crescere in sé. Come! era quel coso lí ch’ella amava, quel miserabile venditore, il ridicolo della


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