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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/561

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il paradiso delle signore

Boutarel dové venir fuori, mentre la folla discuteva è rideva.

Dionisia poté allora passare con i fratelli. Tutta la biancheria delle donne, quella che non si vede mai, stava lí in mostra in una fuga di sale, secondo le sezioni. Busti e reggiseni leggeri, rigidi e imbottiti, e principalmente quelli di seta bianca, guarniti a colori, di cui quel giorno avevan fatta un’esposizione speciale: un esercito di fantocci senza né capo né gambe, una fila soltanto di dorsi e petti da bambole, stretti sotto la seta, con una lubricità da sogni di convalescente. Accanto, sopra altri bastoni, fianchi di crine e di tarlatana avevano, su quei manichi di granata, profili di caricature. Ma cominciava poi la vera biancheria ch’empiva le sale come se un popolo di ragazzine si fosse spogliato, di sezione in sezione, fino a mostrare nudo il raso della pelle. Qui, gli oggetti minuti, polsini e cravatte bianche, fisciú e colletti, una varietà infinita di cosucce leggiere, una spuma bianca che sfuggiva dalle scatole o svolazzava come neve. Là, camiciole, accappatoi, vesti da camera di tela, di nansouck, trine; lunghi vestiti bianchi, sciolti e sottili, che facevan pensare allo stiracchiamento delle mattinate oziose dopo una notte di amore. E cadevano poi, pezzo per pezzo, le sottane bianche di tutte le lunghezze, quelle che si stringono ai ginocchi, quelle a strascico che spazzano il pavimento; una marea di sottane dove le gambe s’affondavano; le mutande di cambrí, di tela, di «picchè», le mutande bianche nelle quali i fianchi d’un uomo sguazzerebbero; per ultimo le camicie, abbottonate fino al collo per la notte, scollate per il giorno, sorrette soltanto sulle spalle, di semplice cotone,


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