Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/75

Da Wikisource.

il paradiso delle signore

ispezione; si fermarono, e domandarono al Robineau perché una partita di velluti stesse, una scatola sull’altra, in mezzo a una tavola. E avendo costui affermato che non c’era piú posto dove metterle:

— Ve lo dicevo io, — interruppe il Mouret sorridendo — ve lo dicevo io, Bourdoncle, che il magazzino è già troppo piccolo! Un giorno o l’altro bisognerà buttar giú i muri fino in Via Choiseul... Vedrete che lavoro, il lunedí che viene!

E intorno a questa vendita, alla quale si preparavano in tutte le sezioni, interrogò di nuovo il Robineau e gli diede ordini. Ma, pur seguitando a parlare, da qualche minuto stava attento a ciò che faceva l’Hutin che seguitava a mettere le sete azzurre accanto alle grige e alle gialle, e dava poi un passo indietro per meglio giudicare dell’armonia dei toni. Bruscamente il Mouret si volse a lui:

— Ma perché cercate di far piacere all’occhio? Non abbiate paura; accecateli... Cosí, rosso! verde! giallo!

Aveva preso la seta, e la svoltolava, la sgualciva, traendone lampi di luce. Ne convenivano tutti: il padrone era in tutta Parigi l’uomo che sapeva accomodare meglio una vetrina; in un modo tutto suo, dando addosso a tutte le tradizioni e istituendo la scuola del grottesco e dell’enorme nella scienza delle mostre. Voleva che le stoffe sembrassero cadute a caso dai cartoni sventrati; le voleva a monti, fiammeggianti dei colori piú vivi, ravvivantisi l’una con l’altra. Soleva dire che «quand’escono dal magazzino, i clienti devono aver male alla retina». L’Hutin, che era invece della scuola classica, simmetria e


73