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armonia cercate nelle gradazioni, lo stava a guardare, mentre in mezzo a una tavola s’accendeva quell’incendio di stoffe; senza farsi lecita una parola di critica, ma con le labbra contratte da una smorfia d’artista offeso nei suoi convinci menti da quell’orgia di colori. — Ecco fatto! — disse il Mouret quand’ebbe finito. — E lasciatelo stare... Vedrete lunedí se le donne a questo modo si afferrano, sí o no.

Proprio in quel punto, mentre stava per raggiungere il Bourdoncle e il Robineau, arrivò una donna che rimase lí ferma e stupita dinanzi alla mostra.

Era Dionisia.

Dopo avere esitato quasi un’ora nella strada, per un terribile assalto di timidità, s’era finalmente risolta. Ma aveva perso la testa, né le riusciva di capire le spiegazioni piú chiare. I commessi ai quali tremando chiedeva della signora Aurelia avevano un bell’indicare la scala del mezzanino; ringraziava, e poi, se le avevan detto di svoltar a destra, svoltava a sinistra, in modo che da dieci minuti non faceva che andare qua e là per il pianterreno, di sezione in sezione, tra la curiosità maligna e l’indifferenza scortese degli addetti, sentendo insieme una voglia di scappar via piangendo, e un gran bisogno d’ammirare. Si sentiva spersa, piccina com’era, in quel caos, in quella macchina non ancora in moto, tremando d’essere travolta dal movimento che faceva già fremere le muraglie. E il ricordo della bottega del Vecchio Elbeuf, nera e stretta, le faceva parere anche piú grande l’enorme magazzino; e glielo vestiva di luce, come una città, coi suoi monumenti, le piazze, le vie, do-


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